Perché Latte & Linguaggio

Perché è nato il Festival Latte e Linguaggio? Spesso il cibo di cui si nutre l’organismo umano è talmente manipolato che finisce col provocare gravi danni alla salute. Sono arcinoti gli effetti deleteri del cibo offerto dalle grandi catene fast food: obesità, diabete etc. Esistono tuttavia pericoli meno appariscenti e più insidiosi anche in tipi di cibo che costituiscono la base stessa dell’alimentazione: per esempio nel latte, oggetto di normalizzazioni e manipolazioni che consentono alla grande industria casearia di produrre formaggi tipici (mettiamo il gorgonzola) con latte proveniente da chissà dove (non certo da Gorgonzola), e pastorizzato al punto che ogni sua particolarità organolettica è stata completamente annullata.

Incredibile a dirsi, questa situazione è strutturalmente analoga a chi adopera il linguaggio (parlando, leggendo, ascoltando etc.) Quanto sono oggi gli “utenti” linguistici che possano vantare una pur che minima consapevolezza dei processi di “produzione del significato”? I disastri causati dall’industria latteo-caseraia nel settore dell’alimentazione materiale, l’industria mediatica li causa nel campo dell’alimentazione culturale.

Latte e Linguaggio, le ragioni del Festival

La manipolazione del linguaggio consente, oltretutto, la copertura e la veicolazione del prodotto alimentare. Basta pensare all’uso improprio di termini qualificanti come genuino, nostrano, fresco, naturale che nella realtà non hanno nulla a che fare con il loro valore semantico, quando non rimandano addirittura al contrario di quel che annunciano, promettono, declamano etc. Il latte non manipolato è costretto a chiamarsi crudo (che ha connotazione negativa), in maniera da riservare il termine fresco a dei tipi di latte che, in realtà sono tutt’altro che freschi. L’unica cosa vera è che si possono consumare a distanza di mesi (latte di lunga conservazione, Parmalat, nei supermercati di tutto il mondo), senza sapere il danno che procurano all’organismo umano le sostanze usate per “allungare” la vita del latte.

Manifesto contro l’impoverimento del cibo e del significato

Sia per il latte sia per il linguaggio si deve parlare di impoverimento e di riduzione effettiva di opportunità di scelta da parte di chi li utilizza. La standardizzazione (e l’appiattimento) del latte (e derivati) e del linguaggio sono davanti agli occhi di tutti. Gli stessi ingredienti manipolati e ricombinati danno l’illusione di una gamma infinita di scelte. In realtà, davanti a centinaia di etichette che promettono individualità, i prodotti sono tristemente simili per struttura e stile (prefabbricati) e l’acquirente non è più un individuo capace di attingere a pieno diritto alla propria consapevolezza ma un semplice consumatore stordito che, negli stessi scaffali, si trova a “scegliere” latticini (e romanzi) di pessima e pericolosa qualità. Anche la letteratura diventa stupidamente e lietamente succube degli stessi condizionamenti: pochi ingredienti ricombinati producono un romanzo di successo. Sono centinaia i romanzi di successo, cioè costruiti sulla base di una formula ridotta ai minimi termini e sempre uguale.

Nel linguaggio del consumo alimentare dunque, così come nell’uso della lingua parlata e scritta, il fruitore, apparentemente svincolato dalla rigidità delle strutture di un tempo (i pasti ‘strutturati’ e cadenzati non meno dei rigidi registri linguistici) in realtà attinge a schemi e modelli precostituiti e riproduce moduli sanzionati da autorità (linguistiche e alimentari) assolutamente inattendibili, irresponsabili e, nel “migliore dei casi” inconsapevoli.

Proposte concrete e comportamenti alternativi

Convinti che il riscontro di una comune matrice dei fenomeni di impoverimento e omologazione consenta una comprensione più profonda dei processi in atto e fornisca strumenti per una più efficace “resistenza”, una maggiore autonomia e pienezza dei modi di vita, studiosi e operatori di varia estrazione, attenti ai valori di specificità e diversità, del cibo come del linguaggio (scrittori, linguisti, filosofi, pastori, etnografi, antropologi, produttori alimentari, sociologi, economisti, psicanalisti, docenti di storia antica etc.) si incontrano, ogni due anni, a Milano alla Biblioteca Chiesa Rossa (in Via San Domenico Savio 3), per continuare un discorso che mira alla formazione di una consapevolezza critica dei processi paralleli che interessano la produzione e il consumo di latte (e si potrebbe estendere al cibo in generale) e linguaggio.

Ogni partecipante parla delle proprie esperienze, dei propri rilevamenti e delle proprie scoperte. Sulla base di questi dati si è dato vita a un percorso strutturato e mirato alla formulazione di proposte concrete, nonché alla illustrazione di comportamenti alternativi sia nel campo della produzione e della veicolazione dei prodotti alimentari, sia nel campo della scrittura narrativa, saggistica e poetica.

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