La chiesa rossa

Il Complesso Cascine “Chiesa Rossa”

Cascina Chiesa Rossa è un insediamento rurale ubicato nella località chiamata anticamente Fontigium, alla periferia sud di Milano lungo la direttrice Milano-Pavia; questo antico complesso monumentale comprende attualmente cinque edifici: la Chiesa, la Canonica, il Portico, l’ex Stalla ora Biblioteca e l’ex Abitazione, oltre a un vasto parco pubblico.
Nel 1960 il Comune di Milano acquistò il Complesso da privati e nel 1966 avviò importanti lavori di restauro (furono eliminati tutti gli interventi ottocenteschi, sigillati gli affreschi e venne ripristinato quello che doveva essere l’aspetto originale della chiesa nel XII secolo) che però non vennero completati cosicché l’intera area rimase inutilizzata per oltre venti anni. Tra il 2000 e il 2003 fu attuato un risanamento conservativo della Chiesa e della Canonica, dal 2008 la Chiesa è riaperta al pubblico e ospita una fraternità francescana.
L’ex Stalla ristrutturata e convertita in Biblioteca Comunale è stata aperta al pubblico nel marzo 2004.

 

La Chiesa Rossa
La Chiesa di Santa Maria (conosciuta anche come Santa Maria alla Fonte) sorge lungo il Naviglio Pavese all’altezza della Conca Fallata. Le prime memorie storiche dell’antica basilica di Santa Maria risalgono al secolo X. Nota anticamente come Santa Maria ad Fonticulum o Santa Maria di Fonteggio, dal nome della località: Fontegium o Fonticulum.
In un contratto del 988, tra l’arcivescovo Landolfo II ed il giudice milanese Romedio di Angifredo, la basilica viene indicata come dipendenza di quella di San Giorgio al Palazzo. La chiesa è stata costruita dal secolo X al secolo XII, con successive aggiunte e modifiche fino al XVIII secolo, su edifici già esistenti (una tomba romana del II o III secolo, ampliata come edificio “a croce libera” nel VI secolo circa) infatti sotto la pavimentazione della chiesa sono stati trovati porzioni di pavimento a mosaico bicromo. i secoli la chiesa ha subito molti danni e nel 1783 fu gravemente danneggiata sia dalle inondazioni delle acque che dalla costruzione della strada che quasi la seppellì. Dalle planimetrie catastali del 1855 si riscontra come la chiesa sia stata inglobata in un complesso edilizio densamente articolato.
All’inizio del XII secolo fu fondato nei pressi della basilica un monastero di monache benedettine alle quali, per far fronte alla decadenza del monastero, per volere del Papa Bonifacio VIII nel 1302 si unirono monache agostiniane. La chiesa, costituita da una navata unica, con l’abside coperta da catino, è l’edificio più antico del complesso e si presenta come all’epoca dell’ultimo progetto realizzato all’incirca nella seconda metà del XII secolo. La chiesa si presenta oggi nel suo aspetto duecentesco romanico lombardo in mattoni a vista, con una semplice facciata a capanna su cui si aprono un unico portale e, più in alto, un’ampia monofora; sopra quest’ultima si vedono le poche tracce rimaste dell’affresco del XV secolo . L’interno, una volta completamente affrescato agli inizi del XIV secolo per volere della badessa Maria De Robacarri (di cui rimane la lastra tombale datata 1333), è ad una sola navata con tre altari.
“Grave pregiudizio arreca alla chiesa lo scavo tra il 1601 e 1611 del Naviglio nuovo di Pavia, il cui tracciato passa a pochi metri: così che essa si trova semi seppellita dal terrapieno, e insidiata dalle acque di infiltrazione. Il degrado giunge a tal segno, da consigliare nel 1783 alle monache un drastico intervento su disegno dell’ingegner P. Castelli: la tramezzatura orizzontale dell’edificio, il cui piano inferiore è così adibito a magazzino della attigua cascina , mentre l’oratorio è ridotto a una porzione del piano superiore con accesso dalla strada alzaia. (Da: Giuseppe Stolfi, La Chiesa di S. Maria Rossa a Milano dalle origini al XIV secolo, in “Palladio”, rivista di storia dell’Architettura e restauro, luglio-dicembre 1992)
Nel 1911 la Commissione Regionale per la conservazione dei monumenti in Lombardia notifica la Chiesa quale edificio di notevole interesse artistico.

Cenni storici della zona
Nel 1135 a sedare alcune lotte intestine fra i milanesi, viene mandato dal papa a Milano il monaco Bernardo di Clairvaux (in Savoia) che nell’abbazia di Citeaux (Cistercio) aveva avviato la riforma dell’ordine benedettino, detta appunto “cistercense”. Per San Bernardo è un grande successo: i milanesi lo ascoltano, lo seguono, lo venerano, fanno pace tra di loro e con il Papa, iniziano a costruire l’abbazia di Chiaravalle per i monaci “cistercensi”. Da Chiaravalle nasce una rete di nuove abbazie (Viboldone, Mirasole, Morimondo, S. Maria Bianca di Casoretto ecc.) e una rete di “grange”. Queste ultime consistono in grandi cascine agricole con operai laici con le loro famiglie, dirette da un gruppo di tre-quattro monaci che insegnano le nuove tecniche e culture e ne controllano l’applicazione corretta. I riformati cistercensi hanno radicalmente rivoluzionato l’agricoltura in un modo che in parte dura ancor oggi.
La potenza e la prosperità di Milano fanno si che l’imperatore Federico I Barbarossa intima alla città di sottomettersi e, di fronte al rifiuto, la assedia, la espugna e la distrugge nel 1162. Il 26 maggio 1176, l’esercito della Lega Lombarda sconfigge nella battaglia di Legnano l’esercito del Barbarossa.
Nell’autunno del 1239 l’esercito milanese si accampò nei pressi della Chiesa Rossa per fronteggiare l’armata dell’imperatore Federico II, attestata a Cassino Scanasio. Da qui i milanesi riversarono sul campo imperiale le acque del sistema irriguo, allagandolo e costringendo l’imperatore alla ritirata.
Nel 1455 il corteo nuziale di Tristano Sforza e Beatrice d’Este sostò a Santa Maria Rossa (ad fonticulum”). Nel 1568 il cardinale Carlo Borromeo poneva la basilica e il monastero alle dipendenze della parrocchia di San Gottardo.
Nel 1782, soppresso il monastero dall’imperatore Giuseppe II, l’intero complesso passò in proprietà ai privati e fu adibito ad azienda agricola mentre la chiesa subì pesanti cambiamenti, perdendo la sua funzione in quanto utilizzata per molti decenni come deposito e granaio.

La cascina della pianura padana
La grande cascina era dotata di un’ampia corte su cui davano i portici, la stalla, la porcilaia e il letamaio. La straordinaria ricchezza di corsi d’acqua nella zona (Abbiategrasso) favorì l’insediamento di numerose cascine, alcune ancora esistenti, e mulini.
Il territorio Padano si distingue in tre zone: quella della pianura irrigua, quella delle terre asciutte e quella delle terre di bonifica recente. La pianura irrigua Lombarda abbraccia le province di Milano, Lodi, Pavia sino a Vercelli e Novara in Piemonte, più il Cremonese e parte del Cremasco, cioè la terra delle marcite e delle risaie, dell’allevamento intensivo, dei pioppeti e del gelso. Il paesaggio di queste zone è quello tipico della “larga”, le ampie distese verdi contornate di pioppi, con al centro la cascina lombarda, il grande fabbricato “curtense” chiuso da tre lati col quarto aperto verso i campi.
La ricerca storica sui manufatti rurali della pianura padana ed in particolare sulle “corti lombarde” assegna la genesi del caratteristico sistema costruttivo della “cascina a più corti”, circa verso la metà del XVII secolo. Ma il nucleo originario dello stesso – la chiusura nella tipica forma quadrata “a corte” – affonda, forse, le radici in epoche più lontane e si può intravedere lo sviluppo nell’evoluzione tecnologica, sociale ed economica dell’agricoltura della Padania dall’antichità Romana in poi.
La Gallia Cisalpina era, in età romana, come oggi, una delle regioni agricole più fiorenti d’Italia. Il sistema della “centuriazione”, per cui i terreni venivano ad assumere forma quadrata (il che facilitava sia il controllo catastale sia le varie operazioni agricole) collo sviluppo e il consolidarsi di estese proprietà a conduzione schiavistica, dopo l’espansione romana nel Mediterraneo, portava a quelle forme tipiche d’insediamento rappresentate dalle “Villae rusticae” formate da edifici differenziati: residenza padronale, locali d’abitazione degli schiavi e artigiani, locali per deposito di attrezzi e prodotti ecc. disposti attorno ad uno spazio – la corte – chiusa con strutture porticate. In tale soluzione architettonica, nel suo sviluppo storico si può, probabilmente, ipotizzare il germe di quella che sarà, alla fine del XVII secolo, la chiusura a “corte quadrata” da cui avrà origine la cascina lombarda a “più corti”.
Colla crisi dell’impero romano, dal V secolo in poi, avviene la lenta disgregazione delle forme di organizzazione agricola, accentuata dal deterioramento delle infrastrutture – rete viaria, rete irrigatoria ecc. e, di conseguenza, col calo della popolazione, si ha la scomparsa di molti centri abitati. L’attività agricola regredisce vistosamente riducendosi ad aree di forma e superficie variabile, in mezzo ad un vasto e spopolato incolto di paludi, acquitrini, foreste e boschi. Allo sfacelo generale resistono i terreni “centuriati”e, in modo particolare l’Italia settentrionale che in epoca Carolingia è tra le regioni più popolate. È l’epoca del cosiddetto “sistema curtense: le proprietà fondiarie si misurano in migliaia di ettari e pertanto non possono essere compatte e continue, inframmezzate, come sono, sia con paludi e boschi sia con altre proprietà. Essendo impossibile un’amministrazione unitaria, vengono suddivise in unità più piccole: le “corti” o “villae”.
Dall’undicesimo al dodicesimo secolo hanno inizio i grandi disboscamenti e dissodamenti. Prende l’avvio la sistemazione idraulica della Valle del Po con un sistema di canali navigabili, di canali per l’irrigazione e di collettori per lo sgrondo delle acque in eccesso. Ai tempi dei Visconti e degli Sforza, grazie ad una politica attenta che favorisce gli investimenti in agricoltura, incide, dal punto di vista agronomico l’adozione della rotazione continua con colture specializzate, l’incremento della risicoltura e l’integrazione tra agricoltura ed allevamento. Quest’ultima emerge nella zona dei “fontanili” colla sostituzione dei vecchi pascoli e prati-pascoli con prati specializzati di leguminose foraggere e di prati marcitoi. L’aumento conseguente di dotazione foraggera consente l’allevamento di bovini non più allo stato brado o semi-brado, ma in stabulazione, il che significa incremento della connessa industria lattiero-casearia.

Il fontanile
Il “fontanile” è un tipo di canale alimentato da acque ottenute da particolari falde freatiche, più raramente da sorgenti naturali, profonde di norma 4 o 5 metri o anche meno. Le sue acque hanno il pregio di avere, in inverno, una temperatura di 10-12 gradi Celsius, pertanto più elevata della normale temperatura atmosferica della zona detta appunto dei “fontanili” o delle risorgive (tra l’alta e bassa pianura Padana, sulla sinistra del Po dal Piemonte sino al Veneto) il che consente l’irrigazione iemale delle marcite con la disponibilità di foraggi nel periodo invernale.
Il primo documento disponibile che riporta con certezza il termine “fontanile” risale al 1386, ed è costituito da un atto notarile proveniente dalla zona di Segrate e conservato nell’archivio dell’Ospedale Maggiore di Milano. Si presume dunque che i fontanili abbiano avuto origine solo nei primi secoli del II millennio, nell’ambito dei più ampi lavori di bonifica idraulica della pianura padana. In questi secoli furono effettuati i primi scavi per incanalare ed irregimentare le acque di profondità.
I fontanili sono una presenza tipica della pianura padana, prevalentemente situati in una zona nota come “fascia delle risorgive” che si estende, in territorio lombardo, a nord del Po e a sud di Milano. La presenza di una agricoltura florida e ben radicata, unitamente ad una favorevole organizzazione sociale e territoriale e alle attività di bonifica e sfruttamento del territorio (promossa anche dalle comunità monastiche presenti nell’area a partire dai secoli XI-XII), hanno contribuito a promuovere lo sfruttamento di tale disponibilità idrica, portando allo sviluppo di un sistema irriguo ancora oggi presente e attivo.

La storia della Chiesa Rossa raccontata dal sacerdote Paolo Rotta
[…] E prima moviamo dalla P. Ticinese dove, appena sorpassato l’arco grandioso tetrastico, creazione del Cagnola, eccoci a soli due chilometri della strada provinciale di Pavia, un Oratorio detto Cascina Rossa, sussidiario di S. Gottardo e del cui pregio e singolarità ci parla un’iscrizione appiccicata nel suo muro esterno, che dice: Chiesa antichissima delle monache Benedettine, che qui dimorarono dall’anno 1139 al 1303, sostituite queste da altre monache di S. Maria delle Vetere in Milano fino al 1386, in cui la si dovette abbandonare in causa di guerra. Quest’oratorio oggi in parte trasformato, conserva tuttora il frontespizio la tradizionale grondaia con sottoposto dipinto bizantino, ed all’interno la pietra tombale del XIV secolo di certa Maria Robacarri, monaca Superiora, qui degente fin dal 1303 e che spese molte libbre d’oro, tanto per l’ornato del convento che del tempio. L’edificio, già ad uso d’ospizio monastico, ha dunque la data del XII secolo e misura in complesso metri 32 per 12. Ad onta delle manomissioni vecchie e nuove, si legge ancora nella sua integrità, conserva le impronte organiche primitive, comprese le capriate del tetto, gli archetti intrecciati, le terre cotte ed anche parte delle decorazioni, come la Vergine in trono nel frontespizio, ed altra Madonna circonfusa di iride e nimbo nell’interno con affreschi diversi di epoca bizantina. Come dissi si può ridurre il tutto alla pristina forma, mettendo in comunicazione l’attuale primo scomparto, dove si celebra la Messa, cogli altri tre seguenti, ora ad uso granaio, aprendo le antiche finestre, completando il vecchio campanile e se fa duopo abbassando l’attuale pavimento fino a raggiungere il livello primitivo, che è al disotto dell’asse stradale.
Da: Paolo Rotta (sacerdote), Gite e rilievi storici archeologici nei dintorni di Milano – Paesi e città limitrofe, Casa Tip. Libr. Editr. Ditta Giacomo Agnelli, Milano 1895, pp. 69-70.

La parola “cascina” e le sue radici linguistiche
La prima registrazione scritta della parola cascina risale a testi dell’inizio del XII secolo, ma, attendibilmente deriva da voce latina medioevale. Gli studiosi di etimologia concordano nel ritenere questo vocabolo originario dell’Italia settentrionale, il lombardo cassina derivato dal termine latino volgare capsia, da capsus, recinto o steccato per contenere animali, da cui capsina, caxina, cassina, cassinale, vocaboli usati antecedentemente al Mille. Probabile, inoltre, la connessione con caseus, cacio. È provato che il francese cassine, inteso come casetta di campagna, usato dall’inizio del XVI secolo, sia un prestito dall’italiano settentrionale. Derivano dalla parola il marchigiano cascino, il piemontese casina, l’imolese casena, il parmense casena per fienile.
Nell’edizione veneziana del Vocabolario degli Accademici della Crusca del 1741 la definizione di cascina è Luogo, dove si tengono, e dove pasturano le vacche, onde si fa il burro, e ‘l cacio. Il Grande dizionario della lingua italiana di Salvatore Battaglia, nel secondo volume del 1962, definisce così cascina: Complesso di fabbricati rurali comprendente abitazione, stalle, fienili, locali per la fabbricazione di burro e formaggio, magazzini, raggruppati intorno a un grande cortile; fattoria; casa colonica. Anche: locale dove si allevano e custodiscono vacche e dove si fabbricano burro e formaggio.
Appare evidente da tutto ciò che la cascina prima di essere una “dimora contadina” è un’azienda per la produzione agricola e zootecnica e la trasformazione dei relativi prodotti. (Virgilio Vercelloni, Les mots et les choses, in “Cascine a Milano”, Comune di Milano, a cura dell’Ufficio Editoriale, 1986)

La mappa della Pieve di Cesano
La mappa fa parte della serie di carte preparatorie alle visite pastorali che Carlo Borromeo fece alle pievi della diocesi di Milano a partire dal 1566. La mappa della Pieve di Cesano, redatta per la visita pastorale del 1572, è una rappresentazione planimetrica con gli edifici in alzato.
I pesci e il barcone comunicano simbolicamente la pescosità e la navigabilità del Naviglio; la selvaggina tra i canneti, gli alberi con uccelli sui rami e soprattutto il ripetuto disegno di grandi risaie, sottolineato da scritte per tutto risi, costituiscono un’eloquente descrizione dei principali caratteri del paesaggio agrario e delle colture praticate nel territorio a sud-ovest di Milano alla fine del XVI secolo. (Da: “Cascine a Milano”, Comune di Milano, a cura dell’Ufficio Editoriale, 1986)

Bibliografia
Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della città e campagna di Milano ne’ secoli bassi raccolti ed esaminati dal conte Giorgio Giulini , vol. III, Francesco Colombo Libraio- Editore, Milano 1855, pp. 281- 282.
E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza, Bari 1962.
Lombardia ieri-100 testimonianze da salvare, a cura di Giuseppe Carlo Maini, Comune di Milano, 1980.
F. Grossi, La Cascina Chiesa Rossa. Progetto di recupero del complesso, Arcadia Edizione, Milano 1985.
F. Cafasi, Ricordi di un mondo che fu. Il lavoro contadino nella pianura Padana dell’Ottocento, in “Rivista di Storia dell’Agricoltura”, Accademia dei Georgofili, Firenze, dicembre 1989, pp. 45- 70.
Giuseppe Stolfi, La Chiesa di S. Maria Rossa a Milano dalle origini al XIV secolo, in “Palladio”, Rivista di Storia dell’Architettura e Restauro, luglio-dicembre 1992.
Paolo Rotta (sacerdote), Gite e rilievi storici archeologici nei dintorni di Milano – Paesi e città limitrofe, Casa Tip. Libr. Editr. Ditta Giacomo Agnelli, Milano 1895.
Percorso tra pievi e cascine verso sud, vol. 1, pubblicazione realizzata dal Comune di Milano, maggio 2008.

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